Il Museo Centovalli e Pedemonte di Intragna, Canton Ticino (CH), custodisce una fotografia scattata nel 1900 in occasione del Carnevale del villaggio di Verscio. Questo è probabilmente uno dei documenti storici fotografici più antichi della storia dei carnevali ticinesi, una tradizione consolidata che vede più di 130 feste di carnevale organizzate nel cantone[1].
L’atmosfera che si percepisce in questa fotografia è molto differente da quella festosa mostrata dalle fotografie, anche antiche, di un tipico carnevale. Come vedremo illustrando gli elementi di questa fotografia, la sua atmosfera ci riporta alla componente sacrale legata alla divinità del carnevale-baccanale, ovvero gli dei dell’antichità romana e greca, Bacco e Dioniso.
Nella foto si nota subito che c’è un solo carro, e di dimensioni notevolissime. Un’enorme botte da vino orlata dall’edera, la pianta del dio Bacco e del Dio Dioniso, di cui spiegheremo il significato. Il figurante sulla botte è nella stessa posa di Dioniso nei vasi attici decorati, con il braccio alzato a sollevare il boccalino ticinese del vino, esso stesso così simile ai vasi da vino della grecità.
Un’altra foto altrettanto antica, del 1925, dal Carnevale di Biasca [2], dove il carro di Bacco era identificato da una semplice scritta “Bacco”, esibisce uno stridente contrasto con la monumentalità del carro di Verscio. Qui infatti il carro è semplicemente ornato con l’edera, la pianta sacra del Dio, e occupato da persone vestite con tuniche bianche in guisa di antichi romani, in linea con la tradizione di mascherarsi per il carnevale.
Nella foto di Verscio invece nessuno è vestito in maschera. Ma non solo. L’abbigliamento dei personaggi è l’opposto del disimpegno o del frivolo: si tratta di abiti eleganti e formali, in funzione del ceto sociale dei partecipanti. Si può individuare anche la presenza di cariche sociali più elevate della media, forse del paese, forse di altre provenienze. Tutti indossano formali cilindri o bombette, e anche i bambini sono vestiti con giacca, cravatta e coppole. Le forze dell’ordine in alta uniforme aprono la processione, e su di un lato si può osservare un gruppo di militari in divisa e con moschetti. Significativo che i personaggi siano tutti uomini e solo sul fondo, appoggiata al muro di una casa, si intravede una donna con un bambino in braccio, che è venuta con molta discrezione a sbirciare, appena fuori dall’uscio di casa.
Non una processione per chiunque, quindi, e con una serietà d’intenti che trapela da tutti i volti, serissimi e senza un sorriso. Non certamente l’aria di un allegro carnevale, e allo stesso tempo, una manifestazione di altissimo rispetto per il Dio che troneggia in processione. Un atteggiamento sacrale che evoca ciò che vogliamo ricordare e discutere in questo breve articolo: gli aspetti religiosi e psicologici connessi al Dio Bacco-Dioniso, aspetti facilmente trascurati nel tipico caos allegro del Carnevale moderno. Qualcosa che da questa foto di Verscio invece emana in modo potente.
Ma prima di approfondire questi aspetti del Dio Bacco-Dioniso, ci si potrebbe chiedere l’origine dell’anomalia che traspare da questa foto a Verscio, in contrasto con l’atmosfera allegra e disimpegnata tipica dei carnevali ticinesi.
L’autore, pur lasciando agli storici ticinesi il compito di studiare il contesto di quella foto, vuole sottolineare che il 1900 segna l’uscita da uno dei periodi più critici per la viticoltura svizzera. Nel 1875, attraverso Ginevra, arrivarono dall’estero le infestazioni di filossera americana e oidio che decimarono i vigneti di tutta la Svizzera [3]. La reazione delle autorità federali non si fece attendere, con l’istituzione di Scuole Agricole e stazioni federali di ricerca agronomica che portarono agli innesti di varietà resistenti con le varietà locali, all’istituzione di cooperative e in ultima analisi a una migliore organizzazione e possibilità del comparto.
È quindi suggestiva l’idea che quella seriosa processione del Dio Bacco-Dioniso in trionfo nella fotografia di Verscio del 1900 fosse in realtà una processione di stampo religioso di ringraziamento al Dio che ha salvato la viticultura ticinese e svizzera. In ogni caso, l’atmosfera di quella foto ci ricorda quanto fosse importante la figura del Dio nel contesto carnevalesco.
L’associazione del rito religioso al Dio, del resto, è quello che ha caratterizzato il culto di Dioniso nell’Antica Grecia e del suo equivalente Bacco nell’Antica Roma. Veri e propri culti misterici che avevano due manifestazioni, una privata ed esoterica e riservata a pochi, e una pubblica ed essoterica riservata a tutti. [4]
Dioniso, come altre divinità dell’antichità, era il Dio dell’Estasi.[5] La stessa etimologia del termine estasi inizia a spiegarci l’atteggiamento psichico correlato all’energia del Dio: Ek-stasis = Essere al di fuori di sè stessi. Ovvero, la presenza del Dio durante il suo culto induce uno stato che porta l’individuo al di fuori della propria individualità, per partecipare a uno stato transpersonale collettivo. Tale stato è detto Enthousiasmós = Essere ispirati dall’ En-Theòs = Il Dio Interiore.
Con questi elementi iniziamo a capire il perché al Dio è stato associato l’inebriante effetto alcolico del vino, che favorisce lo stato di entusiasmo collettivo e l’allontanamento dalla propria identità di tutti i giorni. I travestimenti, che inducono la trasformazione dell’identità del partecipante al rito, non fanno che accentuare e facilitare questo annullamento provvisorio della propria storia personale a favore del festeggiamento collettivo. Festeggiamento che quindi si tramuta in una sperimentazione del proprio Dio interno, Dioniso, che ora vive nella realtà attraverso il partecipante al rito.
Ma quale tipo di energia è l’energia dell’Estasi, l’energia del Dio Bacco-Dioniso? Qui viene in aiuto la simbologia segreta dietro gli attributi del Dio: l’edera. Essa rappresenta, attraverso un’immagine del tutto umile e naturale una potente forza della natura. L’edera continua a infestare ed emettere radici anche se prendiamo i suoi steli e li tagliamo a pezzettini. A ogni taglio nascerà una nuova pianta, e per questo, come è noto a chiunque possegga un giardino infestato dall’edera, è quasi impossibile liberarsene. Ma non solo: è sempre l’edera ad attaccare grossi alberi morenti al punto di tirarli giù verso il terreno e poter permettere la loro assimilazione da parte degli agenti di putrefazione nel terreno creando nuova fertilità e nuova vita.
L’edera è cioè il simbolo stesso di quello che i greci chiamavano ZOÉ, cioè l’archetipo della vita indistruttibile, quella vita che non è soggetta a morte perché si ricicla continuamente. E per i greci Dioniso era il portatore dell’archetipo ZOÉ, energia vitale pura, precedente anche alla vita biologica, che in ogni essere o in ogni pianta si estingue invece alla sua morte.
Ma anche la provenienza di questa energia vitale di base viene rappresentata dalla grecità in modo simbolico e appropriato: è l’energia della Grande Madre Natura, rappresentata dal terribile felino carnivoro giaguaro/leopardo.
Quando la rappresentazione è più esplicita, si vede il Dio Dioniso che domina il leopardo cavalcandolo o portandolo al guinzaglio. Il leopardo rappresenta fin dal Neolitico orientale del X° millennio a.C. l’enorme e pericolosa forza degli agenti naturali. Infatti va ricordato che così come l’energia della Grande Madre Natura permette la sopravvivenza del genere umano con i suoi regali, altrettanto non ha coscienza né preferenza di specie, risultando spesso mortale e pericolosa per gli umani. La figura del giaguaro, con la sua tecnica di agguato invisibile dall’alto dei rami degli alberi, ne rappresenta la sua pericolosa invisibilità, oltre alla sua selvatica potenza.
Dioniso, divinità della psiche umana, nell’atto di cavalcare il giaguaro, simboleggia il Dio che trae da questo enorme serbatoio di energia vitale, per darlo all’umano. Scendendo nei simboli e nei significati esoterici della grecità, si può capire quindi che l’estasi del rito festoso al Dio Dioniso è il momento in cui l’individuo, attivando il suo Dio interiore, si riempie di energia vitale, ZOÉ.
L’immagine qui riportata di Dioniso con il leopardo ci mostra il Dio accompagnato da un suonatore di flauto nudo e da una suonatrice di tamburello e danzatrice con la testa rivolta all’indietro, nella tipica posa di un essere in estasi. Siamo di fronte ad altri due elementi importanti dell’estasi dionisiaca: la musica, che le cronache latine ci riferiscono ipnoticamente ripetitiva, e la danza. Come l’ebbrezza del vino, anche la musica e la danza sono veicoli per gli stati di estasi; ora, lontani dal loro significato banalizzato di attività mondana, possiamo interpretarli come vie da accesso al sacro e alla rigenerazione delle energie dell’individuo.
La necessità di vivere periodicamente momenti in cui ci si possa abbandonare a stati di coscienza che ci portino fuori dal nostro usuale sé, non ha mai cessato di esistere, neanche quando le leggi, come il Senatus Consultum de Baccanalibus del 186 a.C, abbiano dichiarato illegale l’organizzazione del Baccanale. La paura di perdere il controllo di masse di persone in uno stato di coscienza non ordinario ha sempre fatto paura ai difensori dell’ordine. Il Dio Dioniso infatti, come tutte le divinità del Pantheon greco, ha i suoi lati oscuri, nell’eccesso, per esempio.
La festa dionisiaca era di conseguenza organizzata in posti segreti e molto isolati, consapevoli dell’eccezionalità del rito, della rottura delle convenzioni sociali usuali e della sua potenziale problematicità se non gestita. Non molto è cambiato oggi da quei tempi, quando a essere oggetto dell’attenzione delle forze dell’ordine sono spesso feste dionisiache altrettanto organizzate in segreto e basate su musica e danze ripetitive e inebrianti: i cosiddetti raves.[6]
Il moderno carnevale conserva quindi intatti alcuni elementi dell’antica festa dedicata al dio Dioniso, come la musica, la danza, l’uso di alcolici, il travestimento come metafora dell’uscire da sé, il sovvertimento dei ruoli sociali. Con la differenza che questi elementi vengono il più possibile resi innocui e depotenziati nella loro portata di momento di rottura. Ricordarsi che alla base del carnevale o feste simili c’è un’innata esigenza della psiche umana verso gli stati di estasi, e un elemento sacrale e religioso in quello che sembra superficialmente solo un momento di baldoria, ci aiuterà a capire una famosa frase di Gustave Flaubert: “Non c’è niente di serio in questo basso mondo che il ridere”.
Massimo Izzo
[1] La tradizione del carnevale in Ticino, (https://www.ascona-locarno.com/it/attualita/storie/carnevale)
[2] Il carnevale di Biasca realtà e tradizione 1984, (https://lanostrastoria.ch/entries/0OYn1RRmAbK)
[3] Laurent Flutsch/MI; Heidi Lüdi: “Viticoltura”, in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 11.11.2014(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/013937/2014-11-11/, consultato il 08.02.2024.
[4] Károly Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, 1976
[5] Alain Danielou, Gods of Love and Ecstasy: The Traditions of Shiva and Dionysus, 1980
[6] Graham St. John (Ed.), Rave Culture and Religion, 2009
Breve Bio dell’autore Massimo Izzo
Nato a Napoli, 1961. Ingegnere, Egittologo ed Archeologo Orientalista, laureato nelle Università di Napoli e Pisa, ha fatto parte della Missione archeologica dell’Università di Pisa in Egitto a Dra abu El-Naga, tomba tebana TT14, presso Luxor, sotto la direzione della Prof.ssa Marilina Betrò. Dal 2005 si occupa di divulgazione storico-archeologica con articoli, corsi monografici e conferenze. Come ricercatore indipendente scrive e si interessa di interpretazione storica e antropologica tramite la psicologia del profondo junghiana e post-junghiana. Le civiltà e periodi storici di interesse prevalente sono l’Antico Egitto e Mesopotamia, il Neolitico Orientale e la storia Biblica.