INFINITO DIONISIO

ovvero per un’arte “immagine in (perpetuo) movimento”, diffusa e partecipata

Poi d’improvviso mi sciolse le mani
E le mie braccia divennero ali
Quando mi chiese, “Conosci l’estate?”
Io per un giorno, per un momento
Corsi a vedere il colore del vento
Volammo davvero sopra le case
Oltre i cancelli, gli orti, le strade
Poi scivolammo tra valli fiorite
Dove all’ulivo si abbraccia la vite
Scendemmo là dove il giorno si perde
A cercarsi da solo nascosto tra il verde”

Il sogno di Maria, Fabrizio de Andrè
Scultura Dioniso di Mahdi El Ghomri ph. Jelena Sucic, Archivio CSRP Institute

Quando il CSRP Institute, con il supporto di Pascal Mayor, ha avviato la campagna a finanziamento del lavoro di creazione del Dioniso (o Bacco che dir si voglia) erano semplicemente affascinati dalla tecnica di creazione decisamente site specific in grado di raccontare attraverso composizioni di rami e foglie di Mahdi El Ghomri e non immaginavano che quel busto di tronchi di vite, foglie di edera e resti di reti metalliche creato da El Ghomri fosse anche una composizione di discipline, storie e persone che si assemblavano intorno a una rappresentazione di Bacco contenuta in una foto, testimone di un momento sopravvissuto alla storia.

Al tronco bitorzoluto della vite dionisiaca si aggiungono i nodi individuati dall’archeologo Massimo Izzo capace di far risaltare l’importanza della vite, il vino e i simboli del dio nel contesto storico. Nel “Dioniso 1900 – 2024” il tempo prende forma e racconta delle valli fiorite le cui viti furono invase dall’oidio e attaccate dalla filossera, un afide di provenienza nordamericana che flagellò da fine ‘800 fino agli 20/30 del ‘900 quei territori. Come anche nelle Langhe, il territorio da cui proviene chi vi scrive, l’ulivo fu una delle coltivazioni che sopperì quella della vite. Quasi come se l’Apollineo si fosse preso una rivincita con scorrette armi chimiche sul Dionisiaco.

Una foto “di paese” del 1900 con tutta la cittadinanza (maschile) in posa per testimoniare il Carnevale a Verscio, baccanale con poco vino in quell’anno poco felice per il dio Dionisio.

Come ci si era arrivati a quel Carnevale? Come si sarebbe potuto arrivare a un reenactment di quella foto che andasse al di là di quella foto e ristabilisse una giusta dialettica tra dionisiaco e apollineo, tra le regole dell’uno e quelle dell’altro?
Senz’altro correndo a vedere il colore del vento come nella canzone di Fabrizio de Andrè o come in un film di Hayao Miyazaki.
Ma come dare forma a quel volo?
Se questo testo fosse un’intervista bisognerebbe chiedere all’artista com’è diventato casting manager, ma anche produttore, ma anche regista e come si sono incastonate le collaborazioni, in primis quella con Jelena Sucic, ma poi con gli/le abitanti della zona e con le realtà produttive di quel territorio che molto sono cambiate negli ultimi 124 anni, cambiamento che forse le reti
metalliche che avvolgono il busto di Dioniso stanno a testimoniare.

Forse bisognerebbe chiedere a chi ha partecipato a quel carnevale (non più tutto maschile) perché il rifacimento di quella foto non è stato solo il punto di arrivo, ma la testimonianza di un passaggio e magari un nuovo inizio, come lo è stato quel (primo?) Carnevale Pedemontese nel 1900. Probabilmente perché il Carnevale del ritrovato Bacco non poteva fermarsi lì, ingessato in una gioia apollinea, gioia congelata. Il Carnevale dionisiaco ha le sue regole, condivise come ogni anarchico sa, regole che portano al suo dissolvimento necessario per poter rinascere sotto altre forme: in questo caso disperdendosi in un trance rave “là dove il giorno si perde” a cercarsi da soli nascosti nel verde… Ma forse è più interessante lasciare loro la bellezza di poter raccontare un giorno la loro storia da cui altre storie si moltiplicheranno. A noi resta la possibilità di ragionare e godere della capacità di un artista che tante identità ha dovuto attraversare per poter lasciare il proprio narcisismo da una parte e renderlo collettivo.

23.03.2024

Davide Oberto

Breve Bio dell’autore Davide Oberto

Nato ad Alba (Italia) nel 1970, si trasferisce a Torino nel 1989 dove studia Filosofia, Scienze Umane e Storia del cinema all’Università di Torino. Nel 1999 inizia la collaborazione con il Torino Film Festival, dove nel 2005 diventa curatore dei concorsi italiani (cortometraggi e documentari). Tre anni dopo crea una nuova sezione dedicata ai documentari internazionali nel tentativo di far conoscere in Italia i film più interessanti e rilevanti da una prospettiva cinematografica molto specifica: TFFdoc. Dal 2002 al 2009 è stato programmatore di From Sodom to Hollywood – Torino LGBT FIlm Festival per il quale ha curato anche diverse retrospettive. Dal 2015 al 2018 è stato direttore di Doclisboa con Cíntia Gil e ha curato nel 2019, sempre per Doclisboa, la retrospettiva dedicata a Jocelyne Saab. Nel 2022 ha lasciato il Torino Film Festival e ora vive a Berlino come freelance cercando di immaginarsi nuovi percorsi.